Non bastavano miliardi di soldi pubblici sprecati in un folle progetto di riarmo europeo, né i miliardi dilapidati per raggiungere il 5% del Pil allo scopo di armare la Nato fino ai denti, né i venti di guerra che soffiano in Europa da quando Ursula Von der Leyen ha deciso che bisogna fare la guerra alla Russia. Non bastano neppure le ormai note esternazioni del generale Vannacci sulla Decima MAS, sulla bellezza della guerra, sul virilismo machista come valore fondamentale della nostra società.
Strumentalizzare la triste vicenda della famiglia nel bosco a fini politici è un’operazione spregiudicata e immorale. La destra di governo, indefessamente impegnata a delegittimare la magistratura per potersi garantire l’impunità, si sta servendo di una vicenda delicata per fare propaganda. Lo scopo, naturalmente, è quello di indirizzare il rancore dell’opinione pubblica verso la magistratura, così da vincere il referendum costituzionale sulla separazione delle carriere.
La destra di governo sta pericolosamente accelerando l’attacco alle istituzioni democratiche. L’ultimo assalto è quello al Presidente della repubblica Sergio Mattarella, inopinatamente sospettato di ordire trame contro il governo meloniano, sulla base di una dichiarazione attribuita al consigliere quirinalizio Francesco Saverio Garofani, fatta in un contesto privato e riportata da una fonte anonima al giornale La Verità. Il capogruppo alla Camera, Galeazzo Bignami, noto ai più per i compleanni giovanili festeggiati con tanto di divisa nazista, ha perfino chiesto smentita ufficiale al Colle, che ha definito la vicenda “ridicola”.
Che la destra italiana sia sostanzialmente priva di riferimenti culturali è cosa nota. D’altronde rivendicare l’eredità culturale di Giovanni Gentile, o di Alfredo Rocco, pare brutto. C’è quell’indimenticato statista di Giorgio Almirante, ma parliamo pur sempre di chi fu segretario di redazione della rivista fascista “La difesa della razza” e funzionario della Repubblica di Salò, per di più mai pentito. Certo, D’Annunzio sarebbe una preda facile, ma già troppo compromesso. Il futurismo, troppo di nicchia. Giordano Bruno Guerri e Marcello Veneziani, evidentemente, paiono un po’ poco perfino a Giorgia Meloni. Franco Cardini, troppo eterodosso. Rimane l’appropriazione della letteratura fantasy – vedasi la mostra alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma dedicata a Tolkien – ma i risultati in termini di credibilità culturale hanno lasciato un po’ a desiderare.
Dopo tre anni di governo, ci sono ancora persone che attribuiscono al governo Meloni l’intento di perseguire l’obiettivo (erroneamente identificato con la politica interna del fascismo storico) riassumibile nello slogan “legge e ordine”.
In realtà, il governo di Giorgia Meloni sembra avere un disegno politico molto chiaro, che ha senz’altro a che fare con l’ordine, ma poco con la legge, e che sta mettendo in atto attraverso due strategie fondamentali: garantire l’impunità alle classi dirigenti, e avviare la democrazia verso una torsione autoritaria.